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02 mar 2012
RIFORME?
Scritto da Piergiorgio |
Letto 8269 volte | Pubblicato in Il mio blog
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Non tutti i cambiamenti possono definirsi riforme, cioè modifiche volte a dare, come suggerisce il dizionario, nuovi e migliori assetti in ambito politico, sociale, economico. Bastasse solo il connotato di cambiamento, di novità, per definire riformatrice una qualunque variazione in qualsiasi campo della vita, allora i campioni in questo campo sarebbero i più spregiudicati.
I furbi, gli arrivisti, quelli, come si dice, che hanno il fiuto per gli affari (loro, s’intende!) Personalmente sono persuaso che le vere riforme, quelle che segnano in profondità la storia, possano venire soltanto per opera di quanti, non solo, ne teorizzano la necessità, ma operano concretamente nel segno dell’inclusione, della solidarietà tra tutti, della giustizia sociale, della effettiva uguaglianza tra le persone, della fraternità. Non mi pare davvero che questo sia l’humus che caratterizza i nostri giorni. Tutt’altro! A me pare piuttosto che ci si muova in direzione contraria: rafforzando le aree di privilegio e operando per liberare, non già le persone, ma il mercato, il nuovo dio, assieme alla finanza, da ogni vincolo, intralcio al suo dominio. Come leggere diversamente il tentativo in atto di riforma del mercato del lavoro, che in nome del superamento della crisi attuale, si vorrebbe ancor più flessibile e in definitiva precario? Quanto contano davvero le persone, quelle in carne e ossa e non quelle fatte di numeri e di statistiche, nei ragionamenti che si fanno di questi tempi? Ci si trincera dietro il paravento del debito pubblico e della crisi economica, della necessità di rimettere i conti in ordine, di far quadrare i bilanci dello stato, per far digerire ogni tipo di restrizione, di sacrifici, ma si sorvola allegramente sulle cause e le responsabilità dei fattori che hanno indotto l’attuale situazione, e soprattutto si veicola l’idea che ci sia una sola via d’uscita. Che, a ben guardare, è la medesima che ha generato e genera in continuazione, a ogni livello, l’insostenibile divario tra poveri e ricchi; tra abbienti e tartassati, tra quanti sono tutelati e quanti faticano semplicemente a vivere. Un vero cambiamento potrà venire soltanto nella misura che si opererà una trasformazione di carattere culturale capace di farci assumere come nostro il problema dell’altro, di ogni altro, facendoci uscire dalle strette dell’egoismo individualista, requisito basico sul quale si regge la nostra società consumista. Allora e solo allora avremo occhi per vedere la realtà e cuore per sentire il dolore del mondo, da cui può scaturire la creatività capace di aiutarci a percorrere strade inedite.

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