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Ultima modifica Domenica 24 Aprile 2011 08:10
07 set 2009
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Scritto da Piergiorgio |
Letto 3808 volte | Pubblicato in Il mio blog
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«Il senso morale di una società si misura su ciò che fa per i suoi bambini» scriveva il teologo Dietrich Bonhoeffer. Parafrasando, si potrebbe dire che il senso morale di una società lo si misura anche su quanto fa per i suoi membri più deboli. O anche, per quanti bussano ai suoi confini, fuggendo da situazioni di persecuzione o di povertà. E certo, quando si disserta in termini teorici, attorno a tali questioni, è abbastanza usuale che si concordi su molti principi. Non per niente esistono, a riprova, leggi istituzionali, accordi internazionali, dichiarazioni di principio solennemente sottoscritte da governi e stati.

 È nella traduzione concreta, che molto spesso, come si usa dire, casca l’asino. Allora sorgono le interpretazioni, i distinguo, che poi sono la cartina di tornasole che rivela l’autentico sentire di singoli, di gruppi, di formazioni politiche, di governi e via elencando. Nel vangelo è scolpito, con altre parole, questo concetto: è dai frutti che si conosce la qualità dell’albero. Ora, a giudicare dai frutti, cioè dagli esiti, che l’introduzione del reato di clandestinità, ha prodotto e sta producendo, soltanto chi non vuole vedere ne sentire, può cinicamente asserire che è in linea con quanto, dal punto di vista dei principi di civiltà e di solidarietà, il nostro Paese si è impegnato a difendere. E infatti, i cinici, sproloquiano in continuazione senza batter ciglio. La menzogna è usata come una clava e soprattutto è particolarmente in auge il detto manzoniano: Sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire. Molti, troppi, girano la faccia dall’altra parte, e non sono soltanto quanti rifuggono dal prestare soccorso in mare ai naufraghi disperati, ma anche tutti coloro che fingono di non vedere che il nostro paese sta sprofondando nell’inciviltà e magari lo fa argomentando attorno alla sua umanità o anche al suo essere “cattolico”, perché cristiano è tutta un’altra cosa. Il cristiano, infatti, non può non “credere nel Dio che si fa rifrazione nella storia umana e riscatta tutte le vittime di tutti i poteri capaci di far soffrire gli altri” (Frei Betto). Quanti, si confessino credenti o meno, di destra o di sinistra, non si lasciano interrogare dallo sguardo delle vittime, hanno una, soltanto una, debolissima scusante, a mio parere: gli occhi di quanti sono colpiti dai provvedimenti in questione, al massimo li vedono in televisione. Il che significa solo di sfuggita, per il tempo della durata di uno spot pubblicitario; forse anche meno. Qualcuno, magari senza confessarlo pubblicamente, ne ha anche un altro di motivo, per se stesso magari anche più valido: il fatto che i colpiti dai respingimenti o dalle espulsioni, siano di altro colore.. Ossia persone, tutto sommato, di poco conto. È vero, non lo si può dire ad alta voce… però, pensare, sì. E poi sono poveri. Vale a dire, vuoti a perdere; mica come noi, che abbiamo imparato a contingentare le lacrime, assegnando un valore a ciascuna di quante, con parsimonia, abbiamo appreso a spremere a comando. Meglio, molto meglio lasciarci servire dalla paura, anche se, come sosteneva la grande Marie Curie, «nella vita non c’è nulla da temere, solo da capire». Ma capire comporta uno sforzo per penetrare in profondità i problemi posti alla nostra attenzione. Saperli indagare in ogni loro sfaccettatura. Qualcosa di molto diverso insomma della superficialità e sbrigatività con la quale, al contrario, facendo di tutta l’erba un fascio, si affronta il drammatico problema dell’immigrazione nel nostro paese. C’è da sperare che quanti, oggi, sono vittime del nostro sfrenato egoismo, mancanza di elementare giustizia nei loro confronti e che si ammanta di parole d’ordine così suadenti per molti, quali: difesa della sicurezza dei cittadini, legalità, contrasto alla criminalità e via elencando, un giorno (nessuno di noi può dire come sarà il mondo e i rapporti fra le nazioni fra venti, trenta o cinquant’anni), affrancatisi dal bisogno, ci ripaghino con uguale moneta. C’è da sperare che quei popoli abbiamo la memoria più lunga della nostra, visto che da quanto abbiamo patito come migranti pare non abbiamo imparato niente, e sappiano mostrarsi più saggi nel caso avessimo, noi, bisogno di loro, e non facciano pagare ai nostri figli, ai nostri nipoti, quanto noi oggi facciamo pagare loro. C’è da augurarsi, che comunque chiamino il loro Dio, lo credano «intangibile all’odio più crudele, alle diatribe esplosive, al cuore disgustoso di quelli che si alimentano con la morte altrui. Un Dio misericordioso, che si fa quatto fino alla nostra piccolezza, supplica un soave messaggio e chiede una ninna nanna, esausto davanti alla profusione delle idiozie umane».(Frei Betto). A noi rimane una domanda: di che razza siamo? Possiamo rispondere con Einstein, della razza umana?

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