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Schiaffi insistenti
Schiaffi insistenti

La cronaca ci rimanda di continuo accadimenti che sono come tante pietre di inciampo per chi le voglia vedere, soffermarsi a riflettere e decidere da quale parte stare. Sono del parere che il mondo potrà cambiare in meglio solo quando ciascuno di noi saprà sentire, come scriveva José Martì, sulla propria guancia lo schiaffo dato sulla guancia di un altro uomo.

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Se manco il volto terrorizzato

di un bambino,

il suo pianto disperato,

il suo corpo violato,

ferito,

mutilato,

sa più suscitare sdegno

e orrore…

Se neanche il corpo svenuto

di una madre

fatta concava nell’inutile

estremo tentativo

di racchiuderlo come in seno

a protezione

da morte assassina,

suscita sdegno e orrore…

Se quei corpi allineati

di innocenti silenziati

disposti in bianche file

non ci fanno gridare

che ogni guerra

è ingiusta

ripugnante

criminale,

allora è meglio non definirci più

umani

Vorrei avere braccia grandi

per abbracciarvi tutti,

stringervi a me come si fa tra amanti.

Vorrei poter raccogliere,

con le mie stesse mani,

le vostre amare lacrime

e accarezzarvi il viso

in modo delicato

come si fa con fiori

nati su terre avverse

percosse dalla violenza.

Voi siete preziosi e unici

ciascuno nel proprio essere

ma non per chi vi uccide,

smembra oppure mutila,

incurante del vostro piangere.

Vorrei tracciare sorrisi

sui vostri volti esausti,

farlo con tanti colori

quante le ferite infertevi,

poi correre con tutti voi

su immensi prati verdi,

rincorrere aquiloni

e con quelli librarsi in alto.

Vorrei un cuore grande

capace di farvi sentire

che batte solo per voi.

Vorrei… ma posso davvero poco.

Sono solo un pover’uomo

smarrito e addolorato per così tanto dolore

scagliatovi addosso da adulti

che hanno venduto al diavolo

avanzi di senso morale

decidendo che la guerra è un gioco a Monopoli

per accrescere i loro forzieri.

Figlia di un Dio minore

nel freddo di una tenda

dentro l’accampamento

degli scacciati nella propria terra

lungo la costa di Gaza,

vicino a Khan Younis,

non hai avuto neanche il conforto

del fiato caldo di animali

a stemperare il gelo di una notte diaccia.

Avvolta in una coperta povera

tra braccia forti di un papà impotente,

hai pianto il possibile

prima che le tue labbra giovani

fossero tinte

del viola della morte.

E la tua pelle livida a testimone

d’identico colore della coscienza di chi

per te

non ha saputo,

non ha voluto fare niente.

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