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02 ott 2013
QUAQUARAQUÀ
Scritto da Piergiorgio |
Letto 11181 volte | Pubblicato in Il mio blog
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Occasione troppo ghiotta, mi sono detto, per perdermi l’occasione di sedere in prima fila e godermi lo spettacolo… Naturalmente si fa per dire. La poltrona è quella di casa; tempo a disposizione quasi illimitato, in questo incipiente autunno e, udite, udite!, prezzo del biglietto ridotto, giacché potevo seguire la diretta, oltre che sui canali Rai, anche sulla Sette.

E dunque mi sono armato di tanta pazienza, rinunciando perfino al popcorn e alle noccioline. Lo spettacolo – drammatico, annunciavano unanimi le sibille – non poteva che essere seguito in religioso silenzio; con rispettosa attenzione. Il volto teso del nocchiero, il primo a parlare, che già di suo, non aveva dormito la notte, faceva presagire chissà quali risvolti. Inoltrandosi lungo la rotta che additava ai seguaci d’avventura, noti e ripescati, per conseguire il nuovo approdo, procedeva, da navigato condottiero, cercando di scansare a destra e manca gli scogli che già si annunciavano all’orizzonte. Fatto qualche tratto lo raggiungeva il comandante in seconda, scuro in volto, giacché era reduce dall’aver lanciato – così dicevano i rumor della giornata – il guanto di sfida nientemeno che al suo mallevatore, dimostrando così di possedere quel quid che gli era stato in precedenza negato. Si sa che giornalisticamente parlando, non tutti gli attori (leggi interventi) sono notiziabili. Quindi i bravi registi dello spettacolo in corso, per non annoiare, ahinoi, pensiamo, gli spettatori, ci introducevano di quando in quando, dietro le quinte dove stazionavano altre comparse, a loro giudizio più appetibili, di quanti calcavano in quel preciso istante la scena. Così ci si poteva godere l’ineffabile Giovanardi che spiegava il suo indefettibile amore per il Capo, mentre cercava di esporre le ragioni dirimenti di così tanto travaglio che induceva lui e altri ad imbarcarsi sul annunciato nuovo veliero. Gli faceva eco il Celeste a ribadire che loro, i transfughi, erano determinati a dare vita a un nuovo raggruppamento di truppe scelte, ma del medesimo colore, (che non ci fossero dubbi, al riguardo!) perché (la erre doverosamente arrotata): noi siamo e restiamo di centro destra, mica centristi e quindi alternativi (anche qui la erre obbligatoriamente di pragmatica) al centro sinistra; anzi, alla sinistra. SIA CHIARO! Di botto la regia riporta sul palcoscenico centrale dove va in onda uno dei momenti salienti, con Bondi/novello Parsifal, unico tra i Cavalieri della Tavola Rotonda al quale è stato concesso di vedere il santo Gral, perché dal cuore puro, si sta lanciando in una sfida solitaria, dai toni accesi, contro il nemico di sempre, il perfido Giustizialista, al quale imputa di non aver potuto bere alla sacra coppa, pur avendo banchettato alla mensa del Re Pescatore. «È molto, molto difficile mettere d'accordo cuore e cervello… Pensa che, nel mio caso, non si rivolgono nemmeno la parola» direbbe Woody Allen. E poi la scena madre; c’era da aspettarselo. Arriva lui, il Capo per antonomasia. Lui che rivendica di essere il vero armatore anche di quel nuovo (nuovo?) vascello che pretende prendere il largo senza la sua benedizione. Ma come? Con la sua ciurma riunita non avevano votato all’unanimità che il matrimonio non s’aveva da fare né oggi né mai? E Parsifal? Aveva avuto le traveggole? Ohibò! Mi consenta, il capo son mi, che diamine! È vero ha la faccia scura; il volto teso, ma la benedizione la impartisce, lasciando di stucco il nocchiero che accenna a un mesto sorriso, mentre il secondo applaude, non si capisce se soddisfatto o intimorito. Per parafrasare Georges Clemenceau, mi pare che la politica sia troppo seria per lasciarla a (certi) politici. Lo spettacolo non è stato un granché. Confesso la mia delusione. Fortuna che il biglietto era a costo ridotto, e che il pranzo che nel frattempo mi sono cucinato, ancorché modesto, di assoluto mio gradimento.

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