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17 ago 2013
LA PAROLA ALLE ARMI
Scritto da Piergiorgio |
Letto 5919 volte | Pubblicato in Il mio blog
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Quando la parola cede il posto alle armi, è la sconfitta della ragione, e tutto quello che prima poteva essere visto secondo le gradazioni più sfumate che la realtà impone in qualche modo di vedere, finisce per trasformarsi inevitabilmente in bianco e nero. Da parte dei contendenti tutto è trasformato in torto o ragioni senza più la capacità, e forse neanche più il desiderio, di cercare possibili punti di mediazione.

Mi pare sia questo il quadro tragico della situazione odierna in Egitto. C’è una sola cosa che può ragionevolmente contribuire ad impedire che divampi un incendio di più vaste proporzioni: la cessazione di ogni violenza, da una parte e dall’altra; il placarsi degli animi, la volontà di riprendere a parlarsi, riconoscendosi reciprocamente quali interlocutori; il desiderio che prevalga il bene comune. Facile a dirsi, non trovandosi direttamente coinvolti nei tragici eventi in corso, e tuttavia ogni altra strada non può che portare alla sconfitta l’intero Paese, indipendentemente da chi riuscisse, nell’immediato, apparentemente, vincitore. Quando ciò che dovrebbe essere una normale dialettica politica, anche aspra, tra posizioni e vedute diverse, si trasforma in guerra aperta; in contrapposizione violenta, in disconoscimento dell’altro, finisce inevitabilmente con lo scivolare verso quegli esiti drammatici che la cronaca di questi giorni ci rimanda. Le centinaia di morti ammazzati sono lì a dimostrarlo, e a poco serve stabilire a chi imputarli, di chi sia la responsabilità principale, quali le cause prime e seconde, se non si è disponibili, in partenza, a dire apertamente e solennemente che non doveva accadere. La democrazia non è solo un fatto di formule e di norme, ma di sostanza e la sostanza afferma che quanti hanno responsabilità dirette e indirette per quanto accaduto, non sono democratici, a prescindere dalla parte nela quale si collocano e quali che siano le loro ragioni. Di errori ne son stati fatti molti e da tanti dei protagonisti in campo, non solo tra gli egiziani, ma anche tra quanti, nel campo occidentale, sono stati a guardare, più interessati ai loro interessi particolari e immediati, anziché preoccupati di accompagnare in modo responsabile il processo di democratizzazione avviato con la caduta del regime di Mubarak. Certo, il passaggio da un regime autoritario, quale era il precedente, a uno democratico, quale si sperava sarebbe subentrato, non è mai indolore né facile da perseguire. Le forze in campo erano troppo polarizzate su posizioni contrapposte e gli errori, anche grossolani, compiuti dal governo Morsi, non hanno facilitato una evoluzione pacifica verso una reale democrazia. Difficile prevedere cosa avverrà nell’immediato futuro e quali saranno gli sviluppi. Di certo se non si pone fine al bagno di sangue, se i morti ammazzati non saranno di monito a tutti per fermare l’escalation della violenza in atto, difficilmente ci si potrà attendere un futuro di pace, non solo per l’Egitto, ma per l’intera area mediorientale. C’è da sperare che l’Europa e gli USA, compresa la lezione, non si limitino a condanne di circostanza, ma, acuendo il loro sguardo, lasciando da parte interessi di parte e considerazioni di bassa lega, si producano in uno sforzo reale e profondo per aiutare il popolo egiziano a ritrovare le coordinate di un cammino di libertà, di concordia nazionale, di pace e di progresso. È ciò che auspico, mentre con tanti piango i morti ammazzati di ogni parte, di questi tragici giorni.

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