Ci sono cose che non sta bene dire, che magari in molti pensano, ma che insomma… è meglio tacere. Per convenienza, per non disturbare, per non apparire i soliti bastian contrari. Eppure, cosa volete che vi dica, a costo di apparire una voce fuori dal coro, io non riesco proprio a tenere per me quello che sento vero in questo momento.
Ho visto al tg della sera i funerali dei militari italiani morti in Afghanistan e ciò che mi è apparso più chiaramente umano, oltre al dolore dei famigliari, è stato il grido, per altro pacato e non violento, di quel anonimo signore che ha avuto il coraggio di salire al microfono invocando pace subito. Così come è stato triste per me osservare che lo stesso signore veniva allontanato con decisione da due sacerdoti. Eppure cosa c’era di più evangelico della sua invocazione? Non certo la retorica militar patriottica di molti in questi giorni e neppure gli slogan gridati, fuori dalla chiesa, dai reparti in armi. Abbiamo paura di ammettere che l’avventura in Afghanistan ci ha condotti in un pantano dal quale non sappiamo come uscire. Ci ostiniamo a chiamare missione di pace quello che in realtà, al di là delle intenzioni dei singoli, è tutt’altra cosa. Dopo tanti anni dall’inizio di quel conflitto, l’unico insegnamento certo che possiamo ricavare, è che le guerra non risolve alcun problema; se mai lo acuisce. Ma noi continuiamo ad illuderci del contrario. Fino a quando?
