Non capite questa parabola? (Mc 4,1-20)
Il linguaggio parabolico – scrive Bruno Maggioni – è un linguaggio che costringe a pensare: non definisce, ma allude, invita ad andare oltre.
La parabola del vangelo odierno è di fondamentale importanza – lo dice lo stesso Gesù – per comprendere tutte le altre. È la parabola dei quattro terreni, forse più nota come la parabola del seminatore. Un seminatore un po’ sconsiderato, a leggerla superficialmente perché pare gettare il seme un po’ dove capita senza preoccuparsi di badare a dove cade. Ma forse più che di un seminatore distratto e sconsiderato potremmo anche immaginarlo come un seminatore particolarmente ottimista, uno mosso dalla convinzione che il seme è un buon seme che può attecchire un po’ ovunque purché riceva un minimo di accoglienza da parte del terreno. Passando dalla simbologia alla spiegazione, come non riconoscere nel seminatore quel Padre manifestato da Gesù e Gesù stesso, certamente ostinatamente ottimista, che non vuole far mancare la propria parola, il proprio amore a chiunque e in qualunque situazione esistenziale si trovi? Però quello di Dio è un ottimismo che ha bisogno di una risposta, di una assunzione di responsabilità da parte nostra. Si potrebbe dire che neanche Dio può fare il bene in noi, e tramite noi, senza la nostra attiva collaborazione. E per quanto insufficiente, inadeguata possa essere questa nostra collaborazione, il raccolto è garantito. È garantito nella misura dell’abbondanza: che sia il 30, il 60 o il 100 per cento, è sempre una misura di pienezza. Come non aderire con gioia all’invito rivoltoci di farci accoglienti per permettere che Dio, in noi e tramite noi possa, possa fare fiorire la nostra, le nostre vite e quella del mondo intero?