Non mi piace, ed è un eufemismo limitarsi a dire non mi piace. Le fattezze che sta assumendo il nostro Paese, governato dalla maggioranza giallo verde, personalmente mi fanno paura.
Trovo che siano una scarnificazione di ciò che di meglio la nostra Carta Costituzionale aveva codificato e che la rendeva una bella Costituzione. Attraverso il mantra della paura, enfatizzando e martellando con insistenza su fatti indubbiamente deprecabili, si è voluto e si continua a veicolare un’immagine della realtà che non trova riscontro nella vita reale. Certo, non è solo questo a pesare sulla bilancia a favore di chi, manipolando abilmente l’opinione pubblica, incassa il favore del momento. Anche la mancanza di risposte a problemi non date in passato hanno il loro perso, però mi riesce davvero difficile comprendere perché tanti abbocchino alle sirene degli strilloni di turno anche su questioni e argomenti che, numeri alla mano, non presentano neanche a volerli enfatizzare alla decima potenza requisiti di necessità quali quelli che si vorrebbe far credere. Prendiamo in considerazione la discussione in atto in parlamento sulla norma che intende ridefinire il concetto di legittima difesa. Lo sanno anche gli orbi che i casi accaduti di condanne per eccesso di difesa si contano sulle dita di una mano. E allora perché si vuole cambiare la normativa in materia, che per altro già prevede la legittima difesa, purché proporzionata al pericolo corso, trasformandola in una liceità a farlo sempre e comunque? Ciò che sta avvenendo è una modificazione di carattere antropologico. Un regresso di carattere giuridico, un ritorno alla legge clanica e di difesa della “roba” ritenuta di valore maggiore a quello della vita, anche a quella del reo. Che l’humus dal quale si diparte un simile sentire sia dettato dalla convinzione che principi ritenuti per veri siano e debbano avere la preminenza rispetto a qualsiasi altra considerazione è confermato da tante altre scelte e determinazioni di uguale qualità. Basti ricordare il così detto decreto (ora legge) (in) sicurezza che è un vero e proprio manifesto contro la dignità degli immigrati, i loro diritti in quanto persone, alla volontà di voler confinare in carcere le persone con problemi di tossicodipendenza, senza stare a distinguere tra possesso di modica quantità e spaccio vero e proprio, così come di altre tante misure illiberali che si annunciano come prossime. Tutto questo in nome di dio, patria e famiglia. Dove dio è inteso come il confermatore del proprio indiscusso parere, la patria intesa come terra dei padri/padroni di cui la famiglia è un’appendice nella quale la donna deve avere un ruolo subordinato e di mera dipendenza. Insomma s’intende navigare con la testa rivolta al passato, ma neanche a quello storico che pure diverso è tuttavia più sfaccettato e ricco di quanto si pensi, ma a un passato immaginario fatto cittadini e sudditi. Meglio se questi ultimi, schiavi. Quello che traluce dai provvedimenti in corso di attuazione è un Paese alle corde, dove le corde sono in tanti a prestarle perché ci si impicchi: un po’ per convenienza, noncuranza, menefreghismo, sottovalutazione, pigrizia. Se non reagiamo con testardaggine e determinazione, il domani si annuncia davvero buio.