E chi è il mio prossimo? Ecco ancora risuonare l’antica domanda per giustificarne altre fatte in precedenza, come quella posta dal maestro della legge che voleva tendere un tranello a Gesù.
Mai che riusciamo a uscire dalle strettoie di una visuale asfittica, assumendoci la responsabilità di affermare, senza se e senza ma, il diritto alla vita di ogni persona. Ma siamo bravi a discettare sul valore della stessa e anche a stabilire, a parole, l’importanza di difenderla in ogni suo stadio, salvo poi dimenticarcene quando quella concreta di qualcuno, specie se povero e indifeso, domanda di essere accolta e custodita. Allora scattano riflessi condizionati che portano a cavillare in punta di fioretto (si fa per dire) per poi concludere che non ricorrono gli estremi per farsene carico, e si invocano leggi, regolamenti, disposizioni e quant’altro, solo per potersene lavare le mani. Come fecero appunto il sacerdote e il levita del brano evangelico di oggi. Anche loro, mica erano malvagi, no!, soltanto si stavano attenendo a leggi e prescrizioni che definivano ruolo e funzioni. Intanto il giovane Adan, il tredicenne iracheno malato di distrofia muscolare, costretto a vivere in strada e in rifugi di fortuna, a Bolzano, dopo che la sua famiglia era stata espulsa dalla Svezia, che gli aveva rifiutato la richiesta di protezione internazionale, è morto a Bolzano. A differenza del malcapitato incappato nei banditi, mentre scendeva da Gerusalemme a Gerico, non ha avuto nemmeno la sorte di trovare sulla sua strada un eretico che se ne occupasse versandogli olio e vino sulle ferite, fasciandogliele, facendo tutto il possibile per salvarlo. Adan è uno dei tanti scartati della cui sorte nessuno di noi può dirsi totalmente innocente.