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Ultima modifica Venerdì 18 Marzo 2011 11:19
03 dic 2006
Punto d'Incontro su VITA TRENTINA
Scritto da Piergiorgio |
Letto 4954 volte | Pubblicato in Recensioni
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P. Bortolotti e la "Casa dei barboni"

Non problemi, ma persone

 

Un sogno condiviso, che proprio per questo – “si è trasformato in un progetto inteso a rimettere al centro la persona che vive al margine”. Questo è il “Punto d’incontro” che esce dall’omonimo libro di Piergiorgio Bortolotti, il quale dal 1979 condivide con don Dante Clauser l’accoglienza dei senza dimora a Trento, nella struttura di via Travai.

Più che una storia, più che “numeri o casi”, il testo sfoglia “volti, storie, speranze”: storie di barboni, innanzitutto – “per noi sono soprattutto delle persone, che portano dentro una dignità che appartiene loro in quanto persone” – accostati con lo spirito di “amarli” per quello che sono, senza la pretesa di volerli cambiare”. Ecco così Tullio, Toni, Arturo, «el Milio», il Gufo, per citarne solo alcuni: “è una vera corte dei miracoli – osserva Bortolotti – il mondo in cui viviamo, fatto di personaggi imprevedibili, che non sono contrassegnati soltanto da fatiche e sofferenze, ma anche da aspetti piacevoli e divertenti”. L’autore li tratteggia con ironia leggera, fatta di rispetto, di pazienza e di silenziosa comprensione per “la fragilità del vivere”; al punto da riconoscere che “tra accolti e coloro che accoglievano, la differenza era più nel percorso che ci aveva portati in via Travai che in altre cose di carattere esteriore”. Storie quindi di amicizie – luoghi nei quali “ricaricarsi e ritemprare le forse” – galleria di personaggi che, accanto a don dante hanno condiviso un tratto di strada: da don Vittorio con Vita Trentina, a Laura (“Il Punto d’incontro ha dato più senso alla mia vita, al mio essere cristiana, perché non si trattava di svolgere un ruolo di tipo assistenziale, ma un momento di condivisione… Il desiderio di fondo era quello di essere un segno di speranza per chi nel corso della propria vita l’aveva persa tutta o quasi”), Fabio (“Studiavo introduzione alla Teologia e alla Bibbia e la gente mi introduceva a Dio e alla sua forma di parlare…”), Osvaldo (“Eravamo un po’ sognatori… Ho imparato a vedere che dietro ogni persona e alla sua storia assurda c’era una storia normale, una ricerca”), p. Fabrizio (“ Essere gratis, come gratis è l’amore che crea vita, con la consapevolezza della nostra grande impotenza, che allontana la certezza delle soluzioni facili e la sicurezza di risolvere noi tutti i problemi”), Ernesto (“Il più grande peccato che si possa commettere è quello contro l’amore. Questo è quanto mi ha mosso sempre in tutte le mie scelte: ho cercato di rispondere al bisogno di servire a qualche cosa, di essere utile”), fino a don Guerrino, morto di tumore lo scorso giugno (“ Nel fare certe scelte si sconta anche la solitudine dentro la Chiesa… alla quale voglio bene e che non ho mai pensato di mollare anche se in più occasioni mi è stato detto: «Ma perché non pianti tutto?». Ed io a rispondere: «Per fare cosa?»… Dall’esperienza iniziale, “contrassegnata da libertà, frugalità e semplicità” – che vede l’autore licenziarsi dalla fabbrica in cui lavorava per condividere con don dante una fraterna accoglienza degli «ultimi» - alla ristrutturazione guidata da Gualtiero, dall’esperienza del laboratorio al Punto d’incontro di oggi… In filigrana queste pagine documentano anche come sia cambiato il mondo dell’emarginazione: i poveri «locali» sono stati sostituiti per lo più da stranieri, prima del Nordafrica, quindi dell’est… Bortolotti denuncia al riguardo le traversie delle badanti, la chiusura della legge, espressione di “una società che nei fatti emargina, esclude e impedisce una reale integrazione del cittadino immigrato”. Richiama i politici, chiarendo che “non si tratta tanto di chiedere degli stanziamenti di soldi per lenire le sofferenze, quanto piuttosto di lavorare per dare diritto di cittadinanza a tutti i soggetti deboli”. La stessa comunità cristiana – osserva – dovrebbe sentirsi intimamente interpellata da queste tematiche perché il suo proporsi nei confronti di questi fratelli, prima ancora che atteggiamento pietistico o di pura cura verso situazioni eclatanti di bisogno, diventi rivendicazione di giustizia, valore inscindibile del concetto di carità”.

 

Don Ivan Maffeis

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