22Giunsero a Betsàida, e gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo. 23Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: "Vedi qualcosa?".
24Quello, alzando gli occhi, diceva: "Vedo la gente, perché vedo come degli alberi che camminano". 25Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa. 26E lo rimandò a casa sua dicendo: "Non entrare nemmeno nel villaggio".
Ci sono brani del vangelo che intesi in modo letterale sarebbero quantomeno stravaganti, come quello odierno. Come può Gesù, dopo aver guarito dalla cecità un cieco rimandarlo a casa dicendogli di non entrare nel villaggio? Appare paradossale. Ecco che allora per intendere bene quanto l’evangelista ci vuole trasmettere bisogna saper usare la ragione, il che significa attrezzarsi per una lettura che non sia superficiale o puramente letterale. Quanto narrato va oltre la cronaca possibile di una guarigione e ci parla di una cecità che non è solo o tanto fisica, ma di natura diversa: spirituale, di intelligenza, di mancanza di fede, quella dei discepoli rimproverati poco prima di non vedere e di non comprendere. Cos’è che i discepoli non avevano compreso e che anche noi tante volte non comprendiamo? La verità del Cristo esegeta del Padre, l’unico a cui guardare e sul quale basare la nostra vita, persi come siamo a seguire altri modelli esistenziali, quali quelli die farisei, l’esteriorità l’apparire, o quelli di Erode, il potere, il successo, la ricchezza. È da questa cecità che dobbiamo chiedere di essere guariti e per non ridiventare cechi, dobbiamo lasciare le false sicurezze rappresentate dalla nostra esistenza passata, dal si è sempre fatto, così, dalle abitudini che inducono in noi chiusure ed egoismi di ogni sorta.