10 ago 2013
BALLATA DI POVERA GENTE
Scritto da Piergiorgio |
Letto 43176 volte | Pubblicato in Il mio blog
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Pare che il picco del caldo sia ormai alle nostre spalle; si segnalano in arrivo temporali e un calo delle temperature. Questo a livello metereologico, perché in campo politico, al contrario, è realistico aspettarsi, accanto a probabili temporali, anche un aumento della temperatura. E se questo fosse dovuto a discussioni e confronti serrati su problemi reali e urgenti che vivono la maggior parte delle persone, specialmente le tante che si trovano in difficoltà di ordine economico e sociale, sarebbe sintomo di sano dibattito e dinamismo.

Al contrario tengono banco questioni che in una sana, matura e democratica società, neanche si dovrebbero porre, trattandosi di questioni già definite (il futuro politico di Berlusconi con annessi e connessi). Ecco che allora si ripropone, come cavallo di Troia, la questione dell’Imu per poter aggirare l’ostacolo improponibile di un salvacondotto e tenersi le mani libere per poter mettere in mora il governo, attribuendo a ragioni meno inconfessabili, una eventuale crisi politica e un ritorno alle urne che immagino, al di là degli scongiuri di pragmatica, ci sarà prima di quanto possiamo sospettare. Nel frattempo a molti rimane una ben magra consolazione: sperare, nonostante tutto, che agli immancabili atti di generosità che pure esistono in misura non certo trascurabile, persista l’impegno a cambiare l’attuale società da parte di quanti non si rassegnano all’esistente, come auspica la ballata che segue, scritta molti anni or sono dal mio amico Don Dante, che offro alla riflessione dei mei amati quattro lettori. A tutti un buon ferragosto.

 

Ballata di povera gente

 

Fior di melone,

mi chiaman vagabondo oppur barbone;

eppure sono libero e contento

forse più di chi siede in parlamento.

Fior di cicuta,

mi chiamano mignotta o prostituta;

perché quando mi beccano gli agenti

fermano solo me, non i clienti?

Fior di gaggia,

io passo tutto il giorno all’osteria;

non ho più un nome, sono «l’ubriacone»,

oggetto di disprezzo o compassione.

Fior di tulipano,

avevo un quartierino al quarto piano;

è vero che era brutto e sgangherato,

ma adesso dove vado? M’han sfrattato.

Fior di margherita,

in manicomio non è bella la vita;

ma da quando al paese son tornato

mi sento solo, avvilito, disprezzato.

Fiore del prato,

è questo l’anno dell’handicappato;

speriam che dopo ogni conferenza

non ci troviamo al punto di partenza.

Fiore di rosa,

è l’esser vecchi una gran brutta cosa;

m’han dato la medaglia d’argentone,

e poi m’hanno gettato in un cantone.

Fiore di pera,

da mesi sono chiuso qui in galera;

mi sento un uccello nella gabbia

e ogni giorno cresce la mia rabbia.

Fiore di grano,

avevo compagnia quand’ero sano;

adesso che son qui ricoverato

i miei amici m’han dimenticato.

Fioretti belli,

è vero che mi fumo gli spinelli;

ma voi con l’uniforme o con la toga

non vi chiedete mai: perché si droga?

Fior di limone,

m’hanno dato la minima pensione;

ed ho una prospettiva ormai sicura:

è quella ti tirare la cintura.

Fior d’ogni fiore,

conta il cervello, ma più conta il cuore:

se noi pensiamo solo ai fatti nostri,

non uomini più siam, siamo dei mostri.

Fior di protesta,

però dobbiamo ben ficcarci in testa

che a poco servon gli atti di bontà

senza l’impegno a cambiar la società

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