Dovrebbe valere sempre per chiunque si trovi, per ufficio o per necessità, a dover in qualche modo fare da insegnate a qualcuno, la massima del filosofo spagnolo José Ortega y Gasset: se insegni, insegna anche a dubitare di ciò che insegni. Al contrario, di questi tempi, mi pare che troppi salgano in cattedra, avendo la presunzione di sapere la “verità”. A questo pare non sfuggano nemmeno i professori chiamati a governare in questo momento l’Italia.
Nessuno dubita della loro preparazione; nessuno mette in dubbio le loro capacità, ma c’è un però che dovrebbe renderli meno supponenti, soprattutto quando esternano le loro più o meno ragionevoli argomentazioni a sostegno di quanto hanno in animo di fare. Il però che fa la differenza, è che fanno parte, volenti o nolenti, della categoria dei privilegiati; dei garantiti. Magari il loro status se lo sono guadagnato faticando onestamente, ed io non ho ragioni per dubitare del contrario. Rimane il fatto che non fanno parte di esuberi, esondati, disoccupati, cassa integrati, precari e via elencando. Questo è quanto fa la differenza. E non è una differenza da poco. Parlare della necessità di fare sacrifici, di rendersi disponibili ad essere flessibili in ambito lavorativo, di dover rinunciare a delle garanzie in nome di presunti o veri benefici a carico della collettività, a partire da una posizione di privilegio, per quanto faticoso possa risultare, è tuttavia più agevole che il farlo a partire da una situazione di bisogno. È un po’ come devolvere il proprio cachet da centinaia di migliaia di euro in beneficenza, da parte di Celentano. Può risultare una trovata pubblicitaria, più cinica che solidale. Personalmente sono del parere che la crisi nella quale ci stiamo dibattendo sia una crisi di sistema, piuttosto che una crisi di tipo ciclico, e che quindi tutte le manovre che si stanno facendo servano soltanto a dilazionare nel tempo la ver a resa dei conti. È un po’ come quando si mette una toppa su un vestito logoro e rotto. Con la differenza che magari il vestito non ci si può permettere di cambiarlo. Il sistema nel quale siamo vissuti fino ad ora, al contrario, non solo non ci garantirà il futuro, ma è proprio quello che ce lo può tragicamente portare a rottura. Anziché operare per rendere più umana la vita di tutti, riducendo privilegi e ricchezze ingiustificabili ed assassine; perseguire uno sviluppo realmente sostenibile e in grado di auto reggersi (che in soldoni significa consumare meno perché tutti abbiano il necessario, estendendo a tutti il diritto a vivere una vita dignitosa), si persegue il suo contrario. Il risultato non può che essere una compressione dei diritti più elementari, favorendo ancora una volta il prevalere di quanti (e non si peritano di nasconderlo), mirano a massimizzare i propri profitti. Si afferma che per poter distribuire ricchezza, bisogna prima crearne, fingendo che fino ad ora non lo si sia fatto. Il risultato è sotto gli occhi di tutti; lo dicono le statistiche. La forbice tra ricchi e poveri si è via via allargata, in questi ultimi decenni. Allora qualunque proposta riformatrice potrà essere credibile soltanto quando si avrà il coraggio di iniziare a ridurre davvero l’enorme disparità accumulata. Finché questo non accadrà, ogni parlare sarà piuttosto vano; poco credibile, anche se fatto nelle sedi più prestigiose e autorevoli esistenti.