06 ott 2014
RIFORME & RIFORMISTI
Scritto da Piergiorgio |
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La cosa peggiore che può capitare alle persone non è tanto di essere oppresse da qualcuno ma che questo avvenga con il loro stesso consenso. Mi pare che stia in questo la ragione principale di preoccupazione in questi nostri tempi.

Da quanto tempo è che in Italia sentiamo parlare di riforme, della necessità di compierle e di farlo il più rapidamente possibile? Quante ne sono state annunciate, avviate, portate a termine? Nel campo del lavoro, ad esempio, o in quello pensionistico, quanti ricordano il numero di quelle che si sono susseguite? D’accordo che il mondo cambia velocemente, ma è possibile che dall’una all’altra riforma non possa trascorrere neppure il tempo per una valutazione? Giustamente qualcuno potrebbe osservare che se una determinata riforma è stata fatta da una parte politica alla cui realizzazione, la parte avversa, si era opposta, nel momento che quest’ultima va al potere, sia fisiologico che cerchi di rimediare, riformando quella riforma. Il guaio è che, per quanto mi è dato di capire, non è questo ciò che sta avvenendo, ma esattamente il contrario. Per lo meno in taluni campi. Prendiamo il tanto sbandierato Jobs act. Tanto per iniziare, perché non limitarsi a chiamarlo in modo comprensibile a tutti? Perché non piano per il lavoro, ad esempio? Non sarà che il ricorso a questi anglicismi serva anzitutto a nascondere un certo vuoto di idee? A gettare fumo negli occhi della gente? A far immaginare chissà quali scenari di progresso per il futuro? Fino ad ora si è dibattuto soprattutto di abolizione dell’articolo 18, questo sì, cosa concreta, conosciuta da molte persone e soprattutto argomento che rimanda immediatamente a qualche cosa – qual è un diritto stabilito per legge – che è di facile e intuitiva comprensione. È vero, l’articolo 18 non tutela tutti i lavoratori; è altrettanto vero che lo Statuto dei lavoratori risale agli anni Settanta, ma non è vero che nel corso degli anni non siano state apportate correzioni e modifiche al mercato del lavoro e lo stesso articolo 18 è stato modificato solamente due anni fa, con la riforma Fornero. Così come è vero che la sua modifica, meglio la sua cancellazione, è sempre stato un obiettivo della destra nel nostro paese e ora pare diventato, al contrario, la smania del momento di quanti, definendosi riformatori di sinistra, stanno per riuscire nell’intento mai raggiunto, appunto, dalla destra. Per farlo si ricorre alla manipolazione delle coscienze e alla menzogna. Si specula su problemi reali nei quali versa la gente, sulla contrapposizione tra lavoratori, si arriva a sostenere che non ci sarebbe neanche più differenza tra operai e imprenditori. Allora se una contrapposizione manichea tra questi non ha ragione di esistere, se è vero che ci sono situazioni nelle quali, per così dire, datori di lavoro e operai mangiano allo stesso tavolo, non si può certo sostenere che questa sia la norma, che non esistano più i padroni, quelli più interessati alla speculazione e al profitto che non al benessere delle persone. Insomma mica possiamo raffigurarci una realtà idealizzata per sostenere che siamo tutti dentro la stessa barca. Sì, apparentemente può sembrare così, ma in realtà non è per niente vero. C’è chi dentro la barca sta benissimo; anzi, a dirla meglio, sta con entrambi i piedi fuori e si gode il panorama. Chi dentro la barca è costretto semplicemente a remare, qualcuno con un minimo di riconoscimenti e di tutele e altri privi di tutto, costretti a portarsi perfino i remi da casa. Poi ci sono coloro che non hanno nemmeno la possibilità di sperare di poter far parte almeno di quest’ultima categoria e chi sprofonda ogni giorno più in basso. Un vero piano per il lavoro dovrebbe avere quantomeno l’ambizione di offrire delle risposte convincenti a tutti oloro che sono fuori, esclusi dalla possibilità di vivere una vita dignitosa. Invece, in ossequio a centri di potere che risiedono altrove, al mercato divenuto il dominus invisibile, ma non certo per i suoi effetti sulla gente, quello che fanno i governi, compreso il nostro, è quello di rendere sempre più precaria la vita di tutti e farci credere che sia fatto per il nostro bene, il nostro futuro, quello dei nostri figli.

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