Troppi mendicanti, la città insorge, titola il Trentino di martedì 26 novembre. Ecco che ci risiamo, ancora una volta, con la rappresentazione, non so quanto reale, di una città che pare assediata da petulanti questuanti dai quali difendersi perché pare minaccino il nostro diritto alla quiete, specie in periodo prenatalizio nel quale, pure in tempo di crisi, non sappiamo o non vogliamo rinunciare a costose luminarie, quasi a volerci rassicurare che va tutto bene, madama la marchesa.
E invece no, non va affatto bene: almeno per molti, troppi che arrancano, fanno fatica a vivere, a campare. E quando la povertà viene esibita, fa sempre paura. Oh, certo, i poveri, talune categorie di poveri, danno fastidio, come negarlo! «Spesso diciamo di essere dalla parte dei poveri a condizione che i poveri facciano quello che vogliamo noi […] la mano che dona è sempre al di sopra della mano che riceve. E senza reciprocità non c’è scambio umano […]Quando si frequentano situazioni inumane, o ci si disumanizza o si reagisce, e questa reazione è fonte di umanizzazione. Resistere all’inumano è diventare sempre più degli uomini autentici», afferma Pedro Meca, un domenicano che abita le notti di Parigi. Accogliere è un verbo che fatichiamo a coniugare nella vita concreta, perché significa far entrare, ammettere in un gruppo e prima ancora in noi stessi l’altro, il diverso. Ma è proprio quello che rifiutiamo, quello che fa paura, specie quando la diversità scombina tante nostre certezze; ci interroga, sovverte i nostri canoni, spingendoci a ricercare nuove soluzioni. Trovare un terreno di uguaglianza nella reciprocità, ecco ciò a cui siamo chiamati. Ma come fare se siamo tutti quanti protesi nella difesa del «mio», come osservava con grande acutezza, già cento anni fa, il saggio capo polinesiano, Tuiavii di Tiavea, parlando alla sua gente degli usi e costumi del Papalagi (l’umo bianco), dopo la sua visita in Europa? «Là dove molti prendono molto per sé, ci sono anche molti che hanno le mani vuote. Non tutti conoscono le astuzie e i modi segreti per giungere a molto «mio» e occorre uno speciale coraggio per questo, che non sempre si concilia con ciò che noi chiamiamo onore». Osservava, amaramente quel capo polinesiano. Non è forse quanto avviene ai nostri giorni? Ci dichiariamo una società includente e ci vantiamo per quanto realizzato; del nostro diffuso e attivo volontariato, dei centri di accoglienza e delle innumerevoli attività benefiche, eppure nemmeno la nostra società trentina sfugge alla logica imperante, la più diffusa: quella che vede da una parte i garantiti e dall’altra quanti di garanzie non ne ha nessuna. Quanti si dedicano all’accattonaggio, non è che un epifenomeno di una realtà molto più consistente di impoveriti; di senza speranza, che vivacchiano ormai senza neanche più attese perché, a differenza di quanti occupano posizioni di vertice nella gestione del potere economico e politico, che continuano ad affermare di intravvedere una luce in fondo al tunnel, loro di luce non ne intravvedono nessuna. Continuano ad abitare quelle periferie che inutilmente papa Francesco ci ha chiesto di frequentare. Periferie non solo geografiche, ma anche relazionali, nelle quali ci ostiniamo a volerli sempre più confinare. Non ditemi che non è vero, se nonostante il surplus di abitazioni vuote, sfitte, che esistono da noi come in ogni altro ambito de Bel Paese, continuiamo a permetterci il «lusso» di costringere in strada migliaia di persone. O a permettere quell’ingiustizia, grande come una casa, della disparità sempre crescente tra una parte di straricchi e i più sacrificati sull’altare del profitto, della speculazione. Mi pare che una vera lotta contro la povertà non la si voglia intraprendere; allora si sceglie inevitabilmente di lottare contro i poveri. È più facile e forse, per qualcuno, più conveniente. Non sarà inutile, forse ricordare, visto che manca poco al Natale, che scoprire l’umanità dell’altro, di tutti gli altri, malgrado le apparenze che possono farci torcere il naso, trovare che ogni persona è bella, che ogni vita vale la pena di essere vissuta, resti la forma più grande di contemplazione. E per chi cerca Dio, o più semplicemente un senso compiuto da dare alla propria vita, questo si trovi soprattutto nelle persone. Specie in quanti hanno perduto tutto; anche la dignità. Questo comporta sper affinare il nostro sguardo per poter cogliere la bellezza che si nasconde dentro ogni persona, anche la più disgraziata.