Ultima modifica Domenica 24 Aprile 2011 08:04
03 apr 2011
COEMETERIUM NOSTRUM
Scritto da Piergiorgio |
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La notizia, come tante altre del medesimo tenore, sono di quelle destinate a non “fare” notizia. Si perderà in qualche trafiletto di quarta pagina, tra le news che durano lo spazio di pochi minuti, soffocata dalle baggianate a raffica del “nostro” premier, offuscata dalle iniziative in agenda per rilanciare i provvedimenti ad personam per il capo, spenta dai ringhi rancorosi dei suoi compari di merenda che sanno profferire soltanto anatemi nei confronti dei migranti. E loro erano migranti. Sono morti in mare al largo delle coste libiche, aggiungendosi alle migliaia che giacciono in fondo a quel mare che potremmo chiamare ormai coemetrium nostrum, considerato l’alto numero di vittime che ha inghiottito, a partire dagli anni Ottanta.

Secondo Fortress dal 1988 al 2007 i migranti che sono annegati attraversando il Mediterraneo, sarebbero almeno 8.165 persone. Di questi, le salme non recuperate, sarebbero ben 4.256. La notizia parla di 70 cadaveri recuperati davanti alle coste libiche, poveracci che non ce l’hanno fatta, non solo ad attraversare quel mare che li separava, nel sogno, dalla meta agognata, ma che non sono neppure starti in grado di allontanarsi più di tanto, dal paese della loro schiavitù, la Libia. E per colmo di sventura, a sottolineare ancora una volta la loro disperata condizione di persone “inutili”, si è aggiunta la beffa di una sepoltura frettolosa, senza nessuna identificazione. A ribadire che sono soltanto numeri e nient’altro. Tutto ciò è semplicemente mostruoso. Da quanto si è potuto sapere, le vittime sono tutte africane provenienti dai Paesi dell’Africa subsahariana. Quindi persone facenti parte di quella moltitudine che ha percorso un vero e proprio esodo per raggiungere la Libia, luogo prescelto per poter tentare l’avventura europea, dopo essere sfuggite da fame, persecuzione e guerra. Ma la Libia, per loro, non era il paradiso; solo una tappa intermedia, perché in quel paese, governato da un despota da noi foraggiato e riverito, non offriva loro alcuna garanzia di tutela dei loro diritti. A noi però faceva comodo, che i giannizzeri di Gheddafi svolgessero per noi il lavoro sporco di repressione, di incarcerazione, di respingimento ai paesi di provenienza. Ora che quella diga artificiosa s’è frantumata e l’umanità disperata che conteneva, rischia di sommergerci, sappiamo soltanto girare il capo dall’altra parte, mostrando del tutto la nostra inconsistenza; come Paese, come Governo, e, purtroppo, pare di capire, anche come persone. In qualche dove, esistono persone: padri, madri, mogli e mariti; figli, che attendono notizie di congiunti dei quali non conosceranno mai la sorte. Possiamo permetterci di rimanere indifferenti? E a quale prezzo? E se facessimo così, potremmo ancora chiamarci esseri umani?

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