Come tante altre persone ho seguito tramite stampa e internet le vicende riguardanti la comunità di Bose seguite alla rinuncia di fr. Enzo Bianchi al priorato e il subentro di Luciano Manicardi in quel ruolo.
Altri ben più titolati di me hanno scritto in tempi diversi e anche recenti circa la situazione di difficoltà, disagio e conflitto sorti dentro quella realtà indagandone le cause sotto diverse angolazioni. Premetto che non ho mai conosciuto da vicino la realtà di Bose, né fr. Enzo, ma solo indirettamente attraverso scritti, conferenze e incontri dello stesso avvenuti anche nel nostro Trentino. Ciò che mi amareggia profondamente è quanto leggo nel suo comunicato più recente, del 6 marzo corrente, nel quale, dopo un lungo silenzio, offre la sua versione degli ultimi fatti che lo hanno interessato e per i quali è passato, nella vulgata, come disobbediente e inadempiente riguardo a quanto impostogli e da lui stesso, in un primo tempo accettato. Rimando, per chi volesse approfondire questo aspetto a quanto riportato nello stesso comunicato reperibile sul suo Blog (https://www.ilblogdienzobianchi.it/) Il quadro che ne emerge, e non ho motivo di ritenere che non sia veritiero, suscita in me infinita tristezza. Mi domando cosa abbiano di diverso da tante realtà “profane” le dinamiche che vi sono descritte e che ritraggono, a mio modesto parere, l’incapacità di quella Comunità di assumere le fragilità personali e umane legate alle condizioni di salute e alla vecchiaia del Fondatore, facendosi scudo di norme del diritto canonico e disposizioni calate d’autorità dall’alto senza alcuna considerazione per quanto c’è di più prezioso: la dignità delle persone. Si parva licet analoga situazione ci siamo trovati a viverla anche dentro la cooperativa Punto d’Incontro e tuttavia mai nessuno di noi, a iniziare da me che gli ero subentrato nella direzione, ha mai, nemmeno lontanamente pensato o immaginato che don Dante se ne dovesse andare da quella che era, per la scelta fatta tanti addietro, la sua casa. Casa intesa non solo come dimora fisica in cui abitare, ma come luogo degli affetti e del senso della sua vita accanto a chi vive ai margini. Conosco bene, per averle vissute, le dinamiche che si producono dentro una realtà in cui è presente il Fondatore di quella determinata realtà, e quali possono essere la fatiche, gli screzi, le conflittualità più o meno a bassa intensità che vi si generano, eppure non ho mai dubitato che, nel nostro caso, il benessere e la felicità di chi ci aveva generato a una scelta in favore dei meno fortunati, fosse la cartina di tornasole del nostro aver appreso davvero la sua lezione di vita. Se non ce ne fossimo occupati fino all’ultimo dei suoi giorni, in questo supportati economicamente dalla Curia per il tramite dell’allora Vicario genarle don Lauro, avremmo dato una contro testimonianza che nessuna proclamazione di valori avrebbe potuto contraddire. Personalmente in quel prendermi cura di don Dante, assieme ad altri, anche delle sue esigenze più ordinarie, ho scoperto e riscoperto il senso più vero e profondo del servizio agli altri. Ai poveri. Cosa c’è di più povero di un anziano al quale cambiare il pannolone al bisogno e non delegarlo al professionista di turno relegandolo in un ospizio, come per altro gli era stato suggerito da qualcuno autorevolmente? Ma se non siamo capaci di occuparci di chi in modo diverso ci ha genarti alla vita, di che cosa parliamo quando ci riempiamo la bocca di concetti quali: fate agli altri ciò che vorreste che gli altri facessero a voi? È più importante l’istituzione o l’uomo che ci vive, la dentro?