Il 2 febbraio è una data da segnare in rosso, da ricordare a lungo, ma soprattutto dalla quale partire per rilanciare con forza, con determinazione quello spirito che ha animato tante piazze d’Italia.
Anche a Trento è stata una piazza multicolore e plurale, in rappresentanza anche dei tanti che per le ragioni più disparate non hanno potuto essere presenti ma che c’erano, perché c’è in tanti e tante la voglia, il desiderio di opporre resistenza alla deriva xenofoba, razzista nella quale ci si vorrebbe trascinare. È stata una piazza che ha riscoperto il bisogno fisico dello stare assieme, guardarsi negli occhi e scoprirsi ricchi della presenza dell’altro. Una piazza che non ha ceduto e non cede all’insulto, alla demonizzazione dell’altro, del diverso, del povero, del migrante. Una piazza che pur nella diversità di sensibilità e vedute è tuttavia unita nel profondo dal bisogno di una narrazione diversa che non si lascia trascinare dagli istinti più bassi, che ha coscienza che quanto di negativo in tanti, troppi, riversano sugli altri, sui migranti in particolari, sui neri, è frutto di ciò che non accolgono di se stessi. Una piazza che pur consapevole dei propri limiti, insufficienze e difetti cerca di reagire ma anche di agire, non per spirito buonista ma perché sa bene che i diritti o sono di tutti o non sono di nessuno. Una piazza fatta di tante realtà e persone che amano metterci la faccia e operare in prima persona, non demandando ad altri ciò che spetta a ciascuno fare, ma che al contempo non si accontenta di intervenire a sanare le ferite inferte per puro spirito di compassione, che comunque è già qualche cosa di importante, ma mossi dalla convinzione che la società di oggi e ancor più di domani sarà necessariamente fatta di persone provenienti da ogni angolo della terra, che lo si voglia o meno, e che è tutta di costruire. Una società nuova per la quale nessuno ha la ricetta facile in tasca, ma solo la convinzione che soltanto camminando uniti, tenendosi per mano, verso il medesimo orizzonte, sarà possibile realizzarla. Le paure presenti nella società e troppo spesso cinicamente sollecitate e propagate vanno affrontate a viso aperto, smascherandole e mostrando che è possibile vincerle assieme accettando la sfida e la fatica di incontrarsi tra diversi. Il dialogo e la conoscenza è la sola arma vincente. Perfino Luca Traini, l’autore della sparatoria di un anno fa a Macerata pare averlo capito, oggi che si dice pentito di quanto fatto. Ed è significativo che sia stato il carcere, ad esempio, a fargli capire che «gli spacciatori sono bianchi, neri, italiani, stranieri». E ancora che «qui dentro si capiscono molte cose, guardando gli altri e parlando con loro» (la Repubblica 19/02/2019). È mai possibile che si debba arrivare a compiere azioni delittuose per comprendere che è guardandosi e parlandosi che ci si può capire? Quanti di noi hanno operato e operano ancora nel campo ampio dell’accoglienza sanno bene, per esperienza, quanto l’incontro e l’ accettazione dell’altro, del diverso sia tante volte faticosa, ma sanno altrettanto bene quanto sia faticoso anche per “gli altri” l’incontro e l’accettazione nei nostri confronti. Ma anche quanto sia arricchente. Sabato 2 febbraio in via Belenzani, quanti erano presenti hanno respirato un’aria nuova; più salubre. Hanno scoperto quanta riserva di umanità sia ancora presente nel nostro territorio e quante siano le persone che non hanno rinunciato e non rinunceranno a pensare con la propria testa, ad opporsi a tutto ciò che ci rende meno umani e incattivisce la nostra società. Non è che l’inizio. Una ripartenza che avrà bisogno di tanti momenti, di tanti abbracci, di tanto cammino. Ma abbiamo detto che ci siamo e che non ci perderemo di vista. Siamo fiduciosi nonostante tutto.