19 dic 2018
UN BAMBINO AVVOLTO IN FASCE
Scritto da Piergiorgio |
Letto 2713 volte | Pubblicato in Il mio blog
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Forse è uno dei segni dei tempi di crisi il desiderio dell’uomo forte al quale affidarsi ciecamente, assegnandogli la risoluzione di ogni problema. Non è forse quanto sta accadendo un po’ ovunque nel mondo, compreso il nostro Paese?

Come giudicare diversamente il favore di cui godrebbe, stando ai sondaggi, un soggetto come Salvini nonostante non brilli per qualità che in momenti normali si vorrebbe possedesse un politico? Il suo linguaggio improntato al “parlare come mangia”, è uno dei tanti modi dietro i quali nascondere le fattezze reali. Ama mostrarsi uguale agli interlocutori del momento, senza mai essere davvero uno di loro. Questo è ciò che gli consente di indossare la felpa più conveniente, raggirando ora questi, ora quelli e andando dritto allo scopo prefisso: comandare. Ho detto comandare, non governare, che è cosa diversa. E per comandare è necessario instradare le passioni, gli interessi verso un obiettivo comune. Evocare e indicare un nemico comune è ciò che si presta alla bisogna. Se poi il nemico additato ha i caratteri del non conosciuto, tanto meglio; il gioco risulta ancora più redditizio. Al non conosciuto si può attribuire ciò che si vuole, specialmente il negativo e la responsabilità per ciò che va male. Dorme sempre nel profondo del cuore di ogni persona l’inesatta convinzione che i reietti siano sempre gli altri; l’altro da sé, il diverso, l’estraneo, il forestiero. Appunto: il non conosciuto. Ed ecco che è fin troppo facile affermare, trovando sostegno, che “Casa mia, il mio Paese sono aperti alle persone perbene, per tutti gli altri nessuna compassione né ospitalità”. Ed è chiaro chi decide chi è per bene e chi no. Rattrista e indigna osservare che anche tanti che si definiscono cristiani sostengano queste posizioni. Se questa è la situazione attuale, credo sia dovere di ogni persona che ha una coscienza obiettare e riaffermare una concezione dell’esistenza diversa, alternativa a questa che ci si vorrebbe rifilare. Affermare, ad esempio, come scriveva Khalil Gibran, che l’uomo davvero grande è colui che non vuole dominare su nessuno né essere dominato. Non è quanto ci racconta il Natale che stiamo per celebrare? Quel dio al quale si attribuiscono caratteristiche che il più delle volte sono proiezioni umane, quando è entrato nella storia ha sovvertito ogni attesa del tempo e ancora le sovverte, costringendoci a rivedere le nostre aspettative a suo riguardo. Si è presentato come una bambino avvolto in  fasce: povero, vulnerabile, straniero agli occhi dei suoi, conosciuto e onorato da forestieri e da emarginati considerati la feccia di allora. Appunto: non persone per bene, funzionali al sistema, ed è stato a loro, non alle élite contemporanee che si è rivelato, perché in loro pulsava un cuore in attesa di un domani migliore, la speranza di una vita più degna, la domanda di salvezza come in chi preme inascoltato ai nostri confini o è relegato nelle tante periferie esistenziali nelle quali li costringiamo. È a tuti costoro che anche oggi, in modi forse a noi sconosciuti, l’angelo del Signore dice: non temete ecco, vi annuncio una grande gioia, è nato per voi un Salvatore. Ed è a loro che dobbiamo guardare; verso loro incamminarci se vogliamo sperimentare la pace promessa agli uomini che Dio ama.

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