La politica, si afferma, è l’arte del possibile, ed è certamente così. È altrettanto vero però che in tantissime occasioni si rivela come la piazza sulla quale gli uomini si esercitano nella tecnica del cinismo. La storia è piena zeppa di esempi in tal senso; non c’è che l’imbarazzo della scelta. Domenica 11 settembre si sono commemorate le vittime degli attentati di dieci anni or sono con l’abbattimento delle Torri Gemelle. Ricordo doveroso e che certamente non basta a riempire il vuoto, a lenire il dolore di quanti hanno perduto nell’occasione i propri famigliari e amici.
Poteva essere l’occasione, ma non lo è stato, per una rilettura di quegli avvenimenti, nel segno della verità e della trasparenza, capace di avviare un vero processo di giustizia, unica possibilità per rendere quanto dovuto a vittime a famigliari. Pur non sposando tutte le tesi di quanti, semplificando, vengono comunemente definiti complottisti, perché sostengono tesi difformi da quelle ufficiali, riguardo ai fatti accaduti, non posso tuttavia nascondermi i molti interrogativi, che sono anche di non pochi famigliari delle vittime di quegli attentati, e che non hanno mai trovato risposta da parte delle autorità competenti. Si afferma che gli attentati di quell’undici settembre hanno cambiato il mondo. Ritengo sia vero e penso lo abbia cambiato in peggio. Talvolta mi soffermo a riflettere su come il mondo avrebbe potuto cambiare in meglio, anziché in peggio, se anziché una amministrazione Busch, con tutti gli interessi di parte in gioco, a rispondere per quegli attentati, ci fosse stata un’altra amministrazione, realmente democratica e capace di rispondere non, con la ragione della forza, ma con la forza della ragione, perseguendo i colpevoli tramite il diritto internazionale; sapendo anche riconoscere le proprie responsabilità dirette o indirette, per il clima d’odio che si era accumulato nei confronti degli USA e dell’Occidente in generale. Probabilmente l’esito sarebbe stato molto diverso. Di certo non saremmo qui a piangere, oltre le tremila vittime del World Trade Center, anche quelle che ne sono seguite a quel tragico attentato. Vittime troppo frequentemente passate sotto silenzio, quasi si trattasse di un debito dovuto. Mi riferisco alle migliaia di soldati mandati a morire in Iraq e in Afghanistan e le migliaia di vittime civili, morte ammazzate in quei due paesi, che non hanno cerimonie ufficiali che le ricordino. Se a tutto questo aggiungiamo gli incalcolabili danni morali ed economici conseguenti alla scelta scellerata della guerra, la messa in mora del diritto internazionale, piegato alle esigenze del potere (Guantanámo docet), del costo iperbolico delle spese militari a sostegno delle due campagne di guerra, che hanno finito con l’indebitare non solo l’America ma anche il nostro Paese, e ai danni in termini di distruzione di beni, di invalidi permanenti fra la popolazione civile, all’odio e al desiderio di rivalsa che cova in troppi cuori, direi che abbiamo tanti altri motivi di cui dolerci, oltre che per la morte delle vittime di quel vile attentato. La pace non è assenza di conflitto, ma capacità di gestire in modo razionale e intelligente gli inevitabili conflitti, sapendo trovare una soluzione, quella possibile al momento, in grado di conciliare interessi diversi, nella ricerca del bene comune. La guerra, al contrario, ha sempre la pretesa assurda di voler tracciare un confine netto fra ciò che è ritenuto bene e male. E nella ricerca spasmodica della ragione a qualunque costo, il primo bene ad essere calpestato e irriso è la verità stessa, attraverso la manipolazione dei fatti e poi delle coscienze. È stato così anche per gli attentati dell’ undici settembre e fino a quando non si avrà il coraggio di fare verità su tutto quanto accaduto e sulle strumentalizzazioni seguite a quegli eventi, ritengo che nessuna cerimonia, per quanto formalmente ineccepibile e carica di pathos possa essere celebrata, sarà in grado di onorare degnamente quelle migliaia di vittime innocenti e imprimere una svolta nel segno della riconciliazione fra i popoli e le genti. Se è lecito sperare ancora nel futuro, è perché esistono persone e gruppi che pur toccati personalmente da quella immane tragedia, hanno saputo rispondere con gesti e parole di non violenza; come September 11th Families for Peaceful Tomorrows, e Peaceful Tomorrows. “Oggi la pietra filosofale-scriveva profeticamente già nel 1996 il grande teologo Bernhard Haring - è la via regale della non violenza creativa…che non è virtù semplicemente privata; da essa non è possibile escludere la politica, la vita pubblica, l’economia e tutto l’ecosistema”. L’immane carico di sofferenza che è toccata in sorte a tanta parte dell’umanità a partire da quell’undici settembre, dovrebbe insegnarci che la violenza genera violenza, sofferenza e dolore e che pertanto scelte di segno opposto sono, non solo auspicabili, ma doverose da parte di tutti e ad ogni livello, se vogliamo garantire un futuro di pace e di progresso, anziché l’imbarbarimento e la catastrofe. È questo l’insegnamento che personalmente ricavo dal far memoria di quegli eventi e che auspico diventi sentire di molti.